Campagna indiana di Alessandro Magno

Campagna indiana di Alessandro Magno
Itinerario della campagna indiana di Alessandro Magno
Data327-325 a.C.
LuogoValle dell'Indo
EsitoVittoria macedone
Modifiche territorialiL'impero macedone annette la bassa Valle dell'Indo ma non riesce ad espandersi nella Pianura indo-gangetica
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
oltre 150.000100.000 fanti
5.000-7.000 cavalieri[1]
Perdite
150.000 tra morti e dispersi50.000 tra morti e dispersi
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"Moneta della vittoria" di Alessandro Magno battuta a Babilonia nel 322 a.C. per celebrare la vittoria in India: sul recto, Alessandro coronato dalla Nike; sul verso Alessandro a cavallo di Bucefalo carica Poro a cavallo di un elefante - British Museum.

La campagna indiana di Alessandro Magno, cominciata effettivamente nel 326 a.C. e conclusa l'anno successivo, fu l'ultima grande campagna militare del sovrano macedone, ormai "re dei re" di Persia, motivata da quello che oggi gli storici concordano nel definire il sogno di Alessandro di farsi signore del mondo conosciuto che, secondo i Greci, aveva nell'India la sua ultima e più remota contrada.

Gran parte dell'India nord-occidentale era stata sottomessa dai persiani al tempo di Dario I che aveva fatto esplorare l'intera valle dell'Indo, ma al tempo di Alessandro la regione era suddivisa in vari regni in lotta tra loro. Dopo aver occupato l'ultima satrapia indipendente di Persia, il Regno di Gandhāra, ottenendo la sottomissione del sovrano di Taxila Tassile, Alessandro avanzò nel Punjab al comando di un nuovo esercito, con truppe in gran parte asiatiche (solo gli ufficiali e i comandanti erano tutti greci o macedoni). Affrontò un potente monarca locale noto come Poro (Purushotthama o Paurava) nella battaglia dell'Idaspe (attuale fiume Jhelum), sconfiggendolo in quella che molti storici considerano la sua vittoria più sanguinosa[2]. Alessandro fondò a questo punto due città, Nicaea (odierna Mong o Mung) e Bucefala (oggi Jehlum), quest'ultima in onore del suo cavallo Bucefalo, morto durante la battaglia con Poro, ed iniziò (parrebbe) a pianificare l'attacco al Regno Magadha nella pianura indo-gangetica, ma l'armata si ammutinò, rifiutando di proseguire il cammino oltre il fiume Ifasi (odierno Beas)[3]. Alessandro fu così costretto a ripiegare. Seguì la valle dell'Indo fino alla sua foce, dove sorgeva la città di Pattala; da qui spedì una parte dell'esercito, al comando di Cratero, verso l'Afghanistan meridionale (attuale Sindh), mentre egli seguì la costa attraversando la regione desertica della Gedrosia (attuale Makran nel Pakistan e nell'Iran meridionale). La discesa del corso dell'Indo fu accompagnata da una dura lotta, combattuta con inaudita ferocia, contro la guerriglia che ostacolava la marcia dell'esercito macedone. Nell'assalto alla rocca di Aorno (odierna Pir Sar, in Pakistan) una freccia colpì Alessandro, trapassando la corazza della sua armatura e con essa anche la pleura e un polmone, rischiando di ucciderlo. Inviò inoltre una flotta, al comando del cretese Nearco, a esplorare le coste del Golfo Persico sino alle foci del Tigri. La descrizione dei luoghi e dei popoli incontrati (tra cui gli Ittiofagi) fatta da Nearco ci è nota grazie soprattutto all'inserimento del suo diario negli Indikà (gr. Ἰνδικὴ συγγραϕή, it. "Resoconti dell'India") di Arriano.

Alessandro morì nella capitale mesopotamica due anni dopo (323 a.C.), mentre progettava una nuova spedizione contro la Repubblica romana (a quel tempo impegnata nella seconda guerra sannitica) e Cartagine, le due potenze affermatesi nel Mediterraneo occidentale. Nel 321 a.C. Sandrocotto fondò l'Impero Maurya sottomettendo i potentati greco-indiani lasciati dal Macedone. Circa settant'anni più tardi le antiche province indiane dell'Impero macedone furono riunite nel Regno greco-battriano di Diodoto I che sopravvisse, divenendo il Regno indo-greco (180 a.C.), fino al 10 d.C..

  1. ^ Arriano riporta che alla Battaglia dell'Idaspe Alessandro avesse al suo diretto comando 5.000 cavalieri ai quali Fuller J (1960), The Generalship of Alexander the Great, New Jersey, De Capo Press, ISBN 978-0-306-80371-0, aggiunge altri 2.000 cavalieri al comando di Cratero.
  2. ^ Connolly P (1981), Greece and Rome At War, Macdonald Phoebus Ltd, p. 66.
  3. ^ Kosmin PJ (2014), The Land of the Elephant Kings : Space, Territory, and Ideology in Seleucid Empire, Harvard University Press, ISBN 978-0-674-72882-0, p. 34.

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