Eneide

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Eneide
Titolo originaleAeneis
Virgilio con un rotulus dell'Eneide tra Clio e Melpomene in un mosaico del III secolo d.C. (Tunisi, Museo Nazionale del Bardo).
AutorePublio Virgilio Marone
1ª ed. originaleI secolo a.C.
Editio princepsRoma, Sweynheym e Pannartz, 1469
Generepoema epico
Lingua originalelatino
ProtagonistiEnea
AntagonistiTurno, Mezenzio, Achei, Rutuli, Latini
Altri personaggiAnchise, Didone, Ascanio, Venere, Giove, Giunone, Camilla, Lavinia, Latino, Priamo, Creusa
(LA)

«Cedite Romani scriptores, cedite Grai:
Nescio quid maius nascitur Iliade.»

(IT)

«Fatevi da parte, scrittori romani, e anche voi, greci:
sta nascendo qualcosa di più grande dell'Iliade.»

L'Eneide (in latino Aeneis) è un poema epico della cultura latina scritto dal poeta Publio Virgilio Marone tra il 29 a.C. e il 19 a.C. Narra la leggendaria storia dell'eroe troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta della città di Troia, e che viaggiò per il Mediterraneo fino ad approdare dapprima nella grande città di Arpi e successivamente nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano.

Alla morte di Virgilio il poema, scritto in esametri dattilici e composto da dodici libri per un totale di 9896 versi, rimase privo degli ultimi ritocchi e revisioni dell'autore, testimoniate da 58 esametri incompleti (chiamati tibicines, puntelli); perciò nel suo testamento il poeta fece richiesta di farlo bruciare, nel caso in cui non fosse riuscito a completarlo, ma gli amici Vario Rufo e Plozio Tucca, non rispettando le volontà del defunto, salvaguardarono il manoscritto dell'opera e, successivamente, l'imperatore Ottaviano Augusto ordinò di pubblicarlo così com'era stato lasciato.

Enea è una figura già presente nelle leggende e nella mitologia greca e romana, apparendo spesso anche nell'Iliade; Virgilio mise insieme i singoli e sparsi racconti dei viaggi di Enea, la sua vaga associazione con la fondazione di Roma e soprattutto un personaggio dalle caratteristiche non ben definite tranne una grande devozione (pietas in latino), e ne trasse un avvincente e convincente "mito della fondazione", oltre a un'epica nazionale che allo stesso tempo legava Roma ai miti omerici, glorificava i valori romani tradizionali e legittimava la dinastia giulio-claudia come discendente dei fondatori comuni, eroi e dèi, di Roma e Troia.

Ritratto di Virgilio, inciso da François Huot (1802).
(LA)

«Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam fato profugus Laviniaque venit
litora, multum ille et terris iactatus et alto
vi superum, …»

(IT)

«Canto l'armi e l'eroe, che primo dai lidi di Troia, profugo per fato, giunse in Italia alle spiagge di Lavinio, vessato alquanto attraverso terre e in aperto mare da ira divina, …»

La divisione in dodici libri esprime la volontà di conciliare due esigenze, quella della brevitas alessandrina (il cui modello sono i quattro libri delle Argonautiche) con la maggior lunghezza del poema classico omerico (Iliade e Odissea, composti da ventiquattro libri ciascuno).

L'orientamento alessandrino verso il poema breve risalta ancor di più se si pensa che i dodici libri di Virgilio rivaleggiano con entrambi i poemi omerici: i primi sei libri rinviano infatti al modello dell'Odissea (il viaggio avventuroso); gli altri sei al modello dell'Iliade (la guerra). L'ordine delle vicende, rispetto ad Omero, viene rovesciato e l'avventura viene trattata prima della guerra. Col suo modello Virgilio instaura un rapporto di raffinata competizione innovativa. Il viaggio di Ulisse era un viaggio di ritorno, quello di Enea è un viaggio di rifondazione proiettato verso l'ignoto; la guerra nell'Iliade era una guerra di distruzione, quella di Enea è rivolta alla costruzione di una nuova città e di una nuova civiltà; l'Iliade si concludeva con la disfatta troiana, l'Eneide termina con la vittoria del troiano Enea, che risarcisce il suo popolo della patria perduta.

  1. ^ Già Elio Donato nella sua Vita Vergilii (Ernst Diehl (a cura di), De Vita Vergilianae und Ihre Antiken Quellen, Bonn, 1911, p. 31) citava il famoso distico properziano: «Aeneidos vixdum coeptae tanta extitit fama, ut Sextus Propertius non dubitaverit sic praedicare: "Credite, Romani scriptores, credite Grai: / nescio quid maius nascitur Iliade"».

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