Presidenza di Andrew Jackson

Voce principale: Andrew Jackson.
Presidenza Andrew Jackson
Ritratto del presidente Jackson (di Alexander Hay Ritchie).
StatoBandiera degli Stati Uniti Stati Uniti
Capo del governoAndrew Jackson
(Partito Democratico)
Giuramento4 marzo 1829
Governo successivo4 marzo 1837

La presidenza di Andrew Jackson ebbe inizio il 4 marzo 1829, con la cerimonia d'insediamento, e terminò il 4 marzo 1837. Jackson, il settimo presidente degli Stati Uniti d'America, aveva sconfitto il presidente uscente John Quincy Adams alle elezioni presidenziali del 1828, con una larga maggioranza. In coalizione con altri oppositori di Adams, i sostenitori di Jackson si erano organizzati in un apparato che divenne poi il Partito Democratico.

Jackson fu rieletto alle elezioni presidenziali del 1832, battendo facilmente il candidato Partito Repubblicano Nazionale Henry Clay.

Non si ripresentò dopo il secondo mandato, indicando però come successore il suo vicepresidente Martin Van Buren, che vinse le elezioni presidenziali del 1836. Jackson era un deciso sostenitore della politica di rimozione delle tribù dei nativi americani dai territori ad est del Mississippi, ed iniziò il processo del loro trasferimento forzato divenuto noto come "sentiero delle lacrime". Diede il via in forma massiccia allo spoils system, il principio per cui chi vince nomina suoi seguaci in tutti gli incarichi del governo federale, cosa che gli consentì anche di costruire un potente partito, solido e unito. Come risposta alla crisi della Nullificazione, Jackson minacciò d'inviare soldati federali nella Carolina del Sud per far rispettare le leggi appena entrate in vigore; la questione fu disinnescata dall'approvazione della legge sui dazi del 1833. Presiedette allo smantellamento della Seconda banca degli Stati Uniti, che egli considerava un bastione antidemocratico di elitismo. L'assenza di una banca centrale e la politica di Jackson della "moneta forte" avrebbero contribuito all'esplosione del panico del 1837.

Il presidente fu la figura pubblica più influente, ma anche controversa degli anni 1830. Lo storico James Sellers ha affermato che "la personalità autoritaria di Andrew Jackson bastava di per sé a renderlo una delle figure più controverse ad aver mai raggiunto le più alte vette del palcoscenico nazionale"[1].

La sua politica spinse gli oppositori a riunirsi in un nuovo partito, il Whig, che era favorevole all'uso del potere federale per modernizzare l'economia, soprattutto attraverso il sostegno al settore bancario, alle tariffe daziarie sull'importazione di prodotti finiti, e ai lavori pubblici in infrastrutture, come i canali e i porti.

Firma del presidente Jackson.

I suoi due mandati dettero il tono a tutta l'epoca successiva, almeno fino all'inizio della seconda metà del XIX secolo, genericamente riconosciuta come l'era jacksoniana (o "secondo sistema storico dei partiti"), in cui vennero avanzati i principi della democrazia jacksoniana, superati solamente con l'arrivo del Partito Repubblicano e la presidenza di Abraham Lincoln.

Di tutte le presidenze, quella di Jackson rimane forse la più difficile da riassumere, spiegare e valutare con serena obiettività in una classificazione storica. Nel corso della generazione seguente, il biografo James Parton trovò il suo lascito una "massa confusa di contraddizioni": "era ad un tempo dittatore e democratico, un genio naturale seppur profondamente ignorante, Satana ma Santo"[2].

Tra il 1948 e il 2009, su tredici sondaggi condotti tra gli storici e politologi Jackson ha continuato a classificarsi costantemente tra i primi dieci presidenti di tutti i tempi o molto vicino ad essi.

  1. ^ Charles Grier Sellers, Jr., "Andrew Jackson versus the Historians," Mississippi Valley Historical Review (1958) 44#4, pp. 615-634 in JSTOR.
  2. ^ Daniel Feller, Andrew Jackson’s Shifting Legacy, su gilderlehrman.org, Gilder Lehrman Institute of American History. URL consultato il 21 dicembre 2016.

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