Rinascita pagana nell'Occidente tardoantico

Sacerdotessa di Cerere (ca. 400 d.C.) in un rilievo eburneo in stile classico, nel Dittico dei Simmachi e dei Nicomachi al Musée de Cluny.

«Restauriamo, quindi, i riti e i culti, che così lungamente protessero il nostro Stato. Possiamo certo noverare prìncipi seguaci dell’una e dell’altra fede: d’essi, i primi han professato la religione dei padri, altri, più vicini a noi, pur non professandola, non l’hanno soppressa. Ora, se non serve a voi d’esempio la religione dei primi, vogliate almeno ispirarvi alla tolleranza di quegli altri.»

Con l'espressione rinascita pagana nell'Occidente tardo-antico si indica quel fenomeno religioso e politico della tarda antichità imperiale, manifestatosi a cavallo fra il IV e V secolo e che va ad inserirsi, quale parentesi temporanea, all'interno di un più generale e contrario fenomeno di progressivo declino dei culti della religione greca e romana, una decadenza che andava di pari passo con l'affermazione del cristianesimo.

Tra i protagonisti di questa reviviscenza vi furono esponenti politici di rango senatorio, come Vettio Agorio Pretestato, Gaio Ceionio Rufio Volusiano, detto Lampadio, Quinto Aurelio Simmaco, Nicomaco Flaviano, tutti provenienti da gentes di antica aristocrazia romana, nelle quali era ancora forte e vivo il retaggio delle tradizioni più antiche della civiltà romana. Anche dopo gli editti di Teodosio, che resero il cristianesimo l'unica religio licita, sopravvissero nell'impero (soprattutto in Occidente, dopo il 395) sentimenti pagani legati all'osservanza delle tradizioni e del mos maiorum[1].

In particolare, il restauro dei culti pagani avvenne sotto il dominio dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano, dal 361 al 363, mentre nei decenni successivi fino ai primi anni del V secolo, sotto i regni di Gioviano, Valente e Valentiniano, continuarono a godere di una certa tolleranza.

  1. ^ Valerio Massimo Manfredi, Nota dell'autore al romanzo L'ultima legione, p. 471.

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