Il tasso naturale di disoccupazione è un concetto economico sviluppato particolarmente da Milton Friedman e Edmund Phelps negli anni sessanta.[1] Esso rappresenta l'ipotetico tasso di disoccupazione coerente con il livello potenziale della produzione aggregata. Questo è il tasso di disoccupazione che l'economia raggiunge in assenza di frizioni temporanee come ad esempio un aggiustamento solo parziale dei prezzi nei mercati dei beni e del lavoro. Il tasso naturale di disoccupazione corrisponde quindi al tasso di disoccupazione che prevarrebbe secondo l'economia classica. Esso è determinato prevalentemente dall'offerta aggregata, e quindi dalle possibilità di produzione e dalle istituzioni economiche. Se ciò determina disallineamenti permanenti nel mercato del lavoro, oppure rigidità nei salari reali, allora il tasso naturale di disoccupazione può rappresentare anche una disoccupazione involontaria, dovuto a persone che pur cercando un lavoro non riescono a trovarlo.
Disturbi all'equilibrio del sistema economico (ad esempio, variazioni cicliche nell'ottimismo o pessimismo dei soggetti economici) fanno sì che la disoccupazione effettiva sia diversa da quella naturale, e sia determinata in parte da fattori di domanda aggregata secondo una visione keynesiana della determinazione del PIL. L'implicazione, dal punto di vista della politica economica, è che il tasso naturale di disoccupazione non può essere ridotto in modo permanente da politiche di controllo della domanda (inclusa la politica monetaria), mentre tali politiche possono giocare un ruolo nella stabilizzazione delle variazioni della disoccupazione effettiva. [2] Una riduzione del tasso naturale di disoccupazione, secondo questa teoria, deve essere ottenuta attraverso politiche strutturali dirette al lato dell'offerta dell'economia.